Cosa vuol dire perdere se stessi? Come ritrovare se stessi? 
ritrovare se stessi

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Da adulti possiamo scoprire chi siamo osservando il nostro rapporto con gli altri. Da ‘cuccioli’ siamo in mano agli altri, abbiamo bisogno di cure e protezione per sopravvivere. Dagli altri impariamo a parlare, camminare, sorridere, ecc.  Ci rispecchiamo in loro mentre costruiamo piano piano la nostra identità per intraprendere il nostro cammino. Parte della nostra identità avrà sempre a che fare con un certo rispecchiamento negli altri, ma a volte può capitare di perdere se stessi.

Cosa vuol dire perdere se stessi? Come ritrovare se stessi?

Per rispondere a queste domande dobbiamo focalizzarci sulla ricerca di se stessi negli altri, su quanto il nostro senso di autostima possa dipendere dall’approvazione degli altri.

Se la ricerca di se stessi negli altri da adulti corrisponde più o meno a quella sperimentata da bambini può generare una grande sofferenza. Si finisce in trappola, alla mercé degli altri senza i quali perdiamo il senso di noi stessi. Se gli altri che sono i nostri carcerieri si allontanano o non approvano ciò che diciamo o facciamo, ci sentiamo traditi, delusi, infuriati. Chi vive a certi livelli il rispecchiamento negli altri prova, soprattutto, tanta rabbia quando succede questo, perché riesce a sentirsi sicuro soltanto quando si sente amato, apprezzato, incoraggiato, sostenuto. Il termine ‘rispecchiamento’ richiama il termine specchio. Specchio riporta immediatamente ad una favola. “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?” chiede la principessa. 

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Cosa vuol dire perdere se stessi?

Tutti noi vorremmo soltanto provare emozioni, sentimenti appaganti; desideriamo vincere, essere apprezzati, accettati, amati, ma può succedere di perdere la bussola lungo la strada. Perdere se stessi significa non sapere più cosa vogliamo, chi siamo, quale strada intendiamo percorrere o stiamo percorrendo. Perdere se stessi può anche significare scoprire un bel giorno di non conoscerci affatto, di dover ripartire da zero. Si prova smarrimento, sfiducia, senso di abbandono e impotenza, la sensazione di essere stati abbandonati, di aver annullato autostima, desideri, necessità. 

Perdere se stessi può voler dire iniziare un viaggio difficile ma necessario, il più difficile, che ti servirà a ritrovarti o a trovarti davvero per la prima volta.

Dal latino pèrdere significa dissipare, tradire, distruggere. Per i bambini e gli adolescenti pensare di perdere se stessi può risultare una sensazione strana visto che devono ancora capire chi sono e trovare la loro strada. Come si fa a perdere o ritrovare qualcosa che non conosci? La costruzione della propria identità è un percorso delicato, più o meno lungo, più o meno difficile, decisamente personale. 

Perdere se stessi: la trappola dello specchio

Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?” chiede la principessa. Pone puntualmente questa domanda a tutti per ricevere più risposte possibili su chi è, cosa sa fare, quanto è bella ed intelligente, quanto vale. Le serve per riempire il sacco della sua sicurezza. 

Dipendere continuamente da quello specchio la rende prigioniera degli altri in attesa di risposte che non bastano a saziare le sue domande ed il suo bisogno di costruire la propria identità. O, meglio, finisce schiava della propria immagine riflessa nello specchio degli altri tanto che, quando riceve dall’esterno critiche, disapprovazione e pareri diversi dal suo, cade in una profonda crisi. La cornice vuota dello specchio non coincide più con lo specchio, la sicurezza vacilla e si sente sola e abbandonata. Non sa più chi è, quanto vale, ha perfino paura di sé stessa perché ignora chi è. Si prova sempre paura di ciò che si ignora. Scatta così in lei la rabbia, incolpa gli altri che la deludono e tradiscono la sua fiducia. 

Le potenzialità nascoste in fondo al ‘sacco’

Più avanti negli anni, incontrando il ‘principe’, la principessa si innamora del suo nuovo specchio che le ricorda puntualmente chi è e quanto vale. Gli anni passano, gli impegni del principe aumentano ed è sempre più assente. La principessa non lo trova quando cerca la sua immagine riflessa e si arrabbia di nuovo al punto tale da pensare di abbandonare tutto. 

Fuggendo e ritrovandosi sola, abbandonata e impotente, la rabbia si trasforma in furore finché non scopre emozioni e sensazioni accumulate nel tempo, pronte ad uscire dal fagotto che si porta dietro fin da bambina. Riesce a riconoscere quelle emozioni, a sentirle sue, a liberarle scoprendo un bel giorno in fondo al sacco le piantine delle sue potenzialità che aveva soffocato fino ad allora. Innaffiando quelle piantine giorno per giorno, con tanta cura e pazienza, la principessa trova le risposte: quelle piantine potevano suggerirle chi era, cosa sapeva fare, quanto valeva. A quel punto, non avrebbe più avuto bisogno di un’immagine riflessa. Ora poteva tornare dal suo principe che l’aspettava.

La rabbia di fronte alle critiche e alla disapprovazione degli altri indica scarsa autostima e, di conseguenza, bisogno di approvazione e conferme da parte del prossimo.

L’importanza dello sguardo nel rispecchiamento

Nel rispecchiamento, l’elemento più importante è lo sguardo, ancor prima delle parole: questa comunicazione non verbale è importantissima. Prendiamo ad esempio, la fase intermedia tra cura ed apprendimento nei bambini, ovvero l’imitazione (un processo di rispecchiamento) grazie a cui la madre trasmette istruzioni per vivere, al figlio, attraverso una comunicazione non verbale. L’imitazione e la ripetizione dei comportamenti favoriscono l’apprendimento: la madre apre la bocca per suggerire al bimbo di cibarsi. Lo sguardo può comunicare qualsiasi cosa, dare conferme positive ma anche lanciare messaggi distruttivi, negativi, indifferenti, critici fino a causare sensi di colpa. 

Per costruire una futura identità in modo sano, il bambino ha bisogno di ricevere dalla madre sguardi di conferma, di apprezzamento, deve sentire di avere un valore. Spesso, lo sguardo di conferma della madre crea aspettative che possono essere deluse in età adulta, perciò bisogna cercare altri sbocchi. Talvolta, con l’avanzare dell’età si acquisisce una maggiore accettazione di sé e degli altri anche in caso di critiche e disapprovazioni. Si reagisce con più serenità ai dissensi, fino a prendere coscienza del fatto che le diverse opinioni non svalutano necessariamente il proprio punto di vista. Si scopre la capacità di collaborare, interagire e adattarsi al prossimo. 

Come ritrovare se stessi?

Il primo essenziale passo è acquisire consapevolezza, ritrovare un contatto con sé stessi e recuperare le proprie potenzialità. Come affermava C. G. Jung, nulla nella psiche va perduto. Si può e si deve tornare ad alimentare il fuoco del proprio sentire spontaneo in modo da far riemergere le proprie risorse dal fondo della psiche in cui sono state abbandonate per un po’ di tempo.

Il Metodo Biografico in Ergoterapia è una possibile e valida via per iniziare ad intraprendere un percorso allo scopo di ritrovare se stessi.  Serve ad orientare l’esistenza di un individuo, a metterlo in condizione di sfruttare il suo senso vitale nel flusso multiforme dell’esperienza, a dare un senso alla propria vita.

Nel Metodo Biografico si utilizzano pratiche meditative, la pedagogia del corpo, si lavora sul pensiero immaginativo, sui sogni. Bisogna saper ‘leggere’ il linguaggio del proprio corpo, i segnali che trasmette devono essere ascoltati perché sono strumenti di espressione e interrelazione fondamentali.

La vera patologia è vivere in modo inconsapevole e, con questo metodo, la biografia di una persona viene riscritta (in seguito, sperimentata e vissuta) per rinnovare il senso della vita stimolando all’autoriflessione, innescando stati emotivi e capacità cognitive, nuove possibilità. Il soggetto, narratore ed attore del proprio Sé, interpreta la realtà, prende coscienza per cambiarla e migliorarla.

Perdere e ritrovare se stessi: conclusioni

Si perde se stessi nel momento in cui si rinuncia al proprio pensiero attraverso le rimozioni, le sospensioni, gli evitamenti, le fughe, la procrastinazione, la tendenza a rimandare, a posticipare, ad omettere. La propria vita viene messa in standby, in sospeso: anziché viverla si pensa alla vita e basta (come spiega Brunari SAS nella “vita pensata”).

Gradualmente, si verifica un vero e proprio ‘ritiro’, una chiusura anche fisica nel tentativo di evitare di mettere in gioco la propria corporeità ed emotività. In tal modo, ci si illude di scansare esperienze dolorose precludendosi a priori ogni tipo di relazione. Talvolta, si rinuncia alle proprie pulsioni accettando di sottomettersi ad imposizioni spesso ideali, mistiche, di un´ altro (maestro, una persona che si idolatra, una divinità; ecc…) fuori da sè,  reale o immaginario.

E’ possibile ritrovare se stessi recuperando l’emotività mediante un riorientamento del proprio pensiero attraverso il fare, il lavoro con altre persone in grado di costruire una relazione di partnership soddisfacente. L’obiettivo è far cessare la confusione emotiva, azzerare la sensazione di essere persi e senza corpo (mancanza di sensorialità legata al corpo ed ai sentimenti) tornando sensibili e ben disposti alle relazioni. Alla Vita.

 

 

Marijana Juefer

Ergoterapista, Consulente e insegnate ad indirizzo psicoanalitico

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