Questo articolo fa parte del gruppo di articoli informatitivi per quanto riguarda il progetto Fiabe Agite e il metodo che sto portando avanti nel lavoro di ricerca e attività come accompagnamento famigliare e di sviluppo con i bambini sia singolarmente, nel percorso di gioco e sviluppo o terapeutico, sia in gruppo con il lavoro nelle classi e con gruppi sia di bambini che adulti.
Il bisogno di raccontare e raccontarsi è centrale nella vita di ognuno di noi. L’auto-narrazione è lo strumento per interpretare la realtà, dare forma all’esperienza, al senso esistenziale, cognitivo, affettivo, relazionale e spirituale della propria vita. Le vite sono di per sé interessanti oppure è il racconto che le rende tali dandone senso e significato? Bruner si è interrogato su questo, sulla ricerca del significato. In questo focus, ci concentriamo su due forme importanti di intelligenza: intelligenza narrativa e intelligenza emotiva. Indaghiamo il racconto come regno del possibile.
L’intelligenza emotiva è stata trattata nel 1990, per la prima volta, dai professori Peter Peter Salovey e John D. Mayer in un articolo intitolato “Emotional Intelligence”. In questo loro articolo, hanno formulato una prima definizione del concetto di intelligenza emotiva L’hanno definita come la capacità di monitorare le emozioni ed i sentimenti propri ed altrui, di fare una distinzione fra emozioni e sentimenti, di sfruttare le informazioni ricavate per pensare ed agire in diverse circostanze. Mayer ha considerato il concetto di personalità intesa come sistema di processi e strutture che determinano il modo di percepire, pensare ed esperire le emozioni di ognuno di noi, ovvero il proprio senso di identità personale.
Nel 1996, Daniel Goleman ha definito l’intelligenza emotiva come l’insieme delle capacità di autocontrollo, entusiasmo, automotivazione, perseveranza, gestione dei sentimenti, controllo degli impulsi. Goleman fonda il suo concetto su 5 elementi: padronanza di sé, motivazione, empatia, competenza personale e sociale. La competenza personale (consapevolezza emozionale) è fondamentale. Chi è consapevole dei propri stati d’animo è un soggetto autonomo, sicuro, capace di raccontarsi e raccontare i propri vissuti. Gode di una buona salute psicologica.
In sostanza, l’intelligenza emotiva è la capacità di monitorare le emozioni e i sentimenti propri ed altrui e l’intelligenza narrativa (il saper raccontare e raccontarsi) può favorirne lo sviluppo.
Intelligenza narrativa e intelligenza emotiva: il nesso
La narrazione è insita nell’interazione sociale e rappresenta, oltretutto, lo strumento per la costruzione del sé. Qual è il nesso tra intelligenza emotiva e auto-narrazione?
Per Bruner l’essenza della comunicazione è il significato che creiamo in base ai nostri contatti con il mondo allo scopo di dare senso e significato sia al mondo sia alla nostra vita.
I significati che creiamo e che guidano pensiero ed azione fanno parte integrante della trama delle nostre narrazioni. Le narrazioni, a loro volta, rappresentano il collante che unisce i significati e che ne permette la comunicazione.
Le strutture narrative assumono forme universali attraverso cui gli individui comprendono la realtà e possono interagire con la società. I valori culturali definiscono degli obiettivi alle persone anche per il loro riconoscimento all’interno della cultura predominante.
Acquisire una competenza emotiva è il frutto di un lavoro complesso e chiama in gioco tante variabili. L’auto-narrazione, raccontare di sé e delle proprie emozioni, rimanda ad elementi come cause, tipo, intensità, contesto e ruolo sociale, valori, scopi, credenze, percezione ed espressione emotiva.
Nell’auto-narrazione, la tecnica per eccellenza rimane il diario, l’autobiografia, un lavoro non semplice come si può credere. Il diario è uno strumento utile a livello educativo, lavorativo, terapeutico, attiva percorsi di crescita individuali e di gruppo. Questo strumento allena al meglio l’intelligenza emotiva. Registra il flusso degli eventi quotidiani vissuti internamente; per la sua brevità registra una gran quantità di argomenti, spinge a riflettere sugli eventi registrati ed a trasmetterli ad altre persone.
Pensiero narrativo: il racconto come regno del possibile
Oggi, il pensiero narrativo viene ritenuto una delle modalità di funzionamento mentale dell’uomo. Ha la funzione di mediazione tra l’esperienza (la realtà esperita e ricreata, non vincolata alla realtà) e colui che la racconta. Possiede un’organizzazione spazio-temporale, di causa-effetto e di elementi emotivi: si basa su fatti, episodi, eventi. Da Vygotskij a Bruner, il pensiero narrativo viene considerato una caratteristica attività simbolica.
L’intelligenza narrativa incide sulla capacità di interpretare gli eventi e il mondo ma anche sulla rappresentazione di noi stessi. Chi ha una conoscenza profonda di sé dimostrerà un pensiero narrativo più sviluppato.
Le interazioni sociali contribuiscono nello sviluppo del pensiero narrativo oltre che del pensiero in genere, dell’intelligenza e della vita affettiva. Le stesse interazioni sociali si possono considerare narrazioni.
La narrazione è come la vita: è presente ovunque (fiaba, mito, leggenda, epica, tragedia, pittura, cinema, ecc.) a prescindere dalla cultura. E’ internazionale, transculturale, transtorica.
Nello spazio del progetto delle Fiabe Agite e nei percorsi che propongo, possiamo osservare consapevolmente quanto segue, è un accadere quotidiano al quale occorre dare visione e consapevolezza per avere maggior benessere.
Nel costruire storie, il pensiero narrativo cerca di dare un senso e un’interpretazione ai fatti umani basandosi sull’intenzionalità degli attori, sul contesto, le relazioni umane partendo da un problema, da una ‘crisi’. Per questioni culturali, ci aspettiamo che l’individuo si comporti in un certo modo: se eccezionalmente viola l’ordinario siamo pronti ad inventare storie per dare una spiegazione, utilizzando il pensiero analogico (con cui normalmente le persone prendono decisioni, esprimono giudizi, ecc.). Nel racconto si articolano azioni con una precisa organizzazione causale ed intenzioni soggettive degli attori.
La struttura del racconto deve apparire verosimile, essere coerente, convincente, credibile. Deve anche essere validata, provata nella realtà sociale.
Intelligenza narrativa e intelligenza emotiva: le proprietà della narrazione secondo Bruner
Lo psicologo e pedagogista J. S. Bruner ha elaborato le principali proprietà della narrazione. Un buon racconto deve possedere determinate caratteristiche:
– Sequenzialità: gli avvenimenti si verificano secondo una sequenza spazio-temporale, in base a precisi nessi causali:
– Intenzionalità: i personaggi raccontati nella storia agiscono secondo una specifica intenzione o ideale;
– Incertezza: si racconta a mezza via tra realtà (esposizione dei fatti) e immaginazione, un po’ come avviene con il gioco;
– Composizione pentadica: un buon racconto è composto da 5 elementi, ovvero attore, azione, scopo, scena e strumento. Tali elementi devono essere armonizzati tra loro;
– Violazione della canonicità: nella narrazione, troviamo una fase in cui i fatti avvengono secondo le aspettative, la normalità. Ad un certo punto, un imprevisto rompe questa normalità creando una situazione di squilibrio. Il racconto affronta la canonicità e, allo stesso tempo, l’eccezionalità;
– Particolarità: i fatti narrati hanno un preciso contenuto;
– Appartenenza ad un genere: la narrazione si inserisce in un genere, tipo, stile (commedia, tragedia, farsa, ecc.) che tende a rimanere costante;
– Opacità referenziale: i personaggi sono inseriti in storie verosimili, le storie descrivono rappresentazioni di eventi anziché fatti reali, oggettivi;
– Componibilità ermeneutica: le varie parti della narrazione devono essere legate tra loro per fornire un’interpretazione.
Ideatrice Progetto Fiabe Agite, metodo di lavoro di accompagnamento emotivo e di crescita per bambini e adulti.